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Il treno che non tornapubblicato su: LE FATE | Luglio - Agosto 2012
Turi Scordu, surfararu, è un personaggio che vive prevalentemente sui cartelloni dei cantastorie; quei variopinti affreschi che campeggiano dietro mitiche figure di cantori con chitarra a tracolla; non credo sia mai esistito nella realtà, Turi Scordu. Deve la sua vita all’invenzione letteraria e al genio di Ignazio Buttitta.
Nei primi anni cinquanta il cantastorie Cicciu Busacca riempie le piazze di mezza Sicilia raccontando episodi di briganti e di rapine, di fujtine d’amore e delitti d’onore; è il cantore più gettonato, la sua seicento multipla è sempre on the road. Ignazio invece ha appena ripreso a scrivere dopo un lungo esilio silenzioso che gli ha inflitto il regime fascista, e ora propone al suo amico cantastorie di nobilitare gradualmente quel repertorio troppo cronachistico. Il poeta vuole condurlo verso temi di impegno civile e morale; Buttitta è rimasto ammirato del grande talento comunicativo di Busacca e ritiene che esso sia degno di ben altre narrazioni. Scrive per lui Il lamentu ppi la morti di Turiddu Carnivali; una vera e propria sceneggiatura in rima, per canto e cunto. C’è la vita del sindacalista Carnevale e il racconto della sua morte per mano mafiosa. La storia così eseguita ha un successo enorme. Cicciu Busacca aderisce al testo di Buttitta con tutto il suo corpo, la sua commozione e la sua indole; il timbro della sua voce alterna magistralmente i ruggiti di rabbia del popolo al miele di zagara che descrive l’amore della madre per questo giovane eroe ucciso nelle campagne di Sciara. Il sodalizio è fatto e Buttitta ora ha deciso finalmete che da grande farà il poeta. Intanto nel distretto minerario di Charleroi in Belgio il 3 agosto del 1956 il destino ha altri programmi: un crollo terrificante della miniera Bois du Cazier, situata a Marcinelle provoca la morte di 262 minatori di cui 136 italiani, tanti Siciliani. L’emozione è forte in tutta Italia e anche l’imbarazzo del governo Italiano è palpabile: lo scambio del nostro ministero degli esteri con il Belgio, minatori in cambio di carbone, carne umana in cambio di energia, non si è rivelato proprio un bell’affare. Ognuno reagisce con la propria sensibilità e commozione al disastro; Buttitta scrive una storia per il suo amico cantastorie: Lu trenu di lu suli. E’ in quei versi che nasce e si incarna Turi Scordu surfararu, abitanti a Mazzarinu che su quel treno s’avvintura a lu dustinu. D’altra parte chi faceva a Mazzarinu si travagghiu nun ci nn’era, fici sciopiru ‘na vota, e lu misiru ‘n galera. La descrizione della sua esistenza in Sicilia è un quadro d’inferno in bianco e nero Una tana la so’ casa, quattru ossa la mugghieri e i debiti incalzanti, la fami lu circava ccu li carti di l’uscieri. La famiglia, Setti figghi e la mugghieri, ottu ucchi e ottu panzi e ‘nto cori ‘n camiuni carricatu di dugghianzi. In Belgio invece Turi lavora e guadagna, dall’alba al tramonto in quelle miniere niri niri comu sancu d’un draguni; ma a suo modo è felice, può spedire il denaro a casa, sfamare e mandare i figli a scuola. Gli manca solo la sua donna accanto; aveva conosciuto altre femmine ma essennu analfabeta ppi ‘ncantarli nun truvava li paroli di pueta. Così alla fine si decide e scrive: Mogghi mia pigghia la robba, venitinni a ‘stu paisi. Ed è proprio quello il messaggio tanto temuto e desiderato dalle mogli di tutti gli emigranti di tutti i tempi, lasciare la miseria, la povertà, la solitudine del paese, ma anche le radici, per ricongiungersi al proprio uomo. E partieru matri e figghi, salutaru Mazzarinu; li parenti ppi d’appressu ci facevunu ‘u fistinu. Su quello stesso treno, il treno del Sole, dov’era salito Turi qualche anno prima, con la stessa valigia di cartone ora s’imbarcano moglie e figli; lu paisi di luntanu ora acchiana e ora scinni e lu trenu chi vulava senza ali e senza pinni, ogni tantu si firmava ppi ‘nfurnari passeggeri, emigranti, surfarara, figghi, patri e li mugghieri. Nelle carrozze è subito curtigghiu di paese: Le mè nomu? Rosa Scordu…lu paisi? Mazzarinu…unni jti? Unni jamu?! Unni voli lu distinu!!! Ci si conosce, si condivide la gioia, l’ansia, la speranza. Ma il dramma incombe; è nascosto da qualche parte, sotto le tappezzerie consunte o i portapacchi strapieni, nel sibilo notturno di quel treno che sul ferryboat attraversa lo Stretto; come in una tragedia greca il messaggero di sciagure ha le vesti di un notiziario radio era quasi menzannotti, sunnu l’urtimi nutizi, li nutizi di la notti: Una grave sciagura in Belgio….numerosi i morti del sud Italia…Natale Fratta di Riesi, Francesco Tilotta di Villarosa…Salvatore Scordo “Mè maritu…mè maritu..” urla Rosa; ma nei versi di Buttitta quella donna è Medea, Elettra, è Antigone; è la voce della tragedia di un popolo, di un intero Sud. Cicciu Busacca a questo punto fa una pausa, si asciuga una lacrima, incredibilmente vera sulla guancia, e riprende :Rosa chianci, Rosa chianci, e li vuci sancu e focu dintra l’occhi comu lanci! Cu ‘na manu e centu vucchi, addumata comu torcia, si lamenta e l'ugna affunna ‘ntra li carni e si li scorcia. E li figghi? Ccu ‘i capisci...ccu capisci e ccu non capisci, annigati ‘n mezzu a l’unni di ddhu mari senza pisci.
La tragedia si è compiuta. Misi attornu l'emigranti ca nun sannu zoccu fari; sunnu puru ‘n menzu a l'unni: stracinati di ddhu mari.Quel treno dai mille viaggi e dalle mille partenze, quel treno del Sole e della speranza per migiaia di terroni in cerca di fortuna, nei versi di Buttitta compie il suo ultimo viaggio senza ritorno Va lu trenu nni la notti, chi nuttata longa e scura: non ci fu lu funirali, è ‘na fossa la vittura. Turi Scordu a la finestra, a lu vitru ‘mpiccicatu, senza occhi, senza vucca: è ‘nu schelitru abbruciatu.

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Rivista LE FATE

Sono stato coinvolto in questa avventura editoriale da Alina Catrinoiu, una ragazza rumena che ha scelto la Sicilia come sua patria d’elezione. Mi ha convinto dell’esigenza di mettere per iscritto e in buona grafia i nostri pensieri, i sogni, le visioni. Noi che, insieme a tanti altri, abbiamo deciso per la nostra Isola, non l’amore incondizionato, irrazionale, fanatico, nostalgico-folk, ma il rispetto per la memoria, il territorio, la cultura e le persone. Abbiamo messo insieme una squadra di donne e uomini (molte di più le donne, per la verità…qui c’è una quota azzurra che andrebbe sostenuta…), organizzati per macro-aree, la musica, l’arte, la letteratura, il cinema, la fotografia, la cultura d’impresa…e abbiamo dato forma grafica ai nostri desideri, alle nostre parole. Ho scelto il nome de Le Fate perché sono caratterialmente attratto dal mondo invisibile e dai suoi significati, e perché sono alla ricerca di quel mondo che a volte vedo distintamente. A volte appena sopra l’orizzonte, a volte sotto i nostri piedi. In ogni paese del mondo c’è un regno delle Fate, fra le pareti delle antiche caverne dimora di monaci bizantini…. o sulle ali delle farfalle che planano sulle zagare degli aranci in primavera; tra i labirinti di luce di un antica masseria con le finestre ferite dal vento o sulle lingue di fuoco che ardono nei rosari delle donne in preghiera. Nelle rime di una filastrocca urlata dai carusi per la strada, o nei sospiri di una ninna-nanna a una picciridda ccu l’occhi sbarati tanti che non vuole dormire Oggi le abbiamo dimenticate, ma non per questo Le Fate non esistono. Soltanto i sogni, talvolta, ne danno testimonianza. Nello stato di semi-coscienza tornano a popolare i nostri pensieri, ci consolano, leniscono le ferite del giorno con le loro carezze. Ma riappaiono anche ad occhi aperti, quando la fervida speranza nella nostra memoria le svela da un arcaico silenzio; e allora ecco che languide melodie si librano, se le sai ascoltare, intonate dal sospiro del loro volto pallido. Non aver paura, non aggrottare le tue ciglia, non porti inutili domande; accoglile senza remore. Loro sono delicate e molto discrete, potrebbero fuggire per non tornare mai più.

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